mercoledì 14 marzo 2012

Poetry

Torno dal cineforum or ora...! 
Il film in programma era Poetry del regista sud coreano Lee Chang-Dong.
Ho deciso di scriverne qualcosina nel mio piccolo blog prima che mi passino dalla testa tutti i pensieri che il film ha suscitato in me.
La protagonista è una signora sessantacinquenne che ha a che fare con una serie di difficoltà: una figlia lontana, un nipote adolescente scontroso e schivo e l'alzheimer. Nonostante tutto cerca di andare avanti con positività finché un evento scuote la sua esistenza: una studentessa della scuola locale si uccide. La causa della scelta estrema pare risiedere in delle molestie sessuali subite da un gruppo di studenti fra i quali è coinvolto anche il nipote della protagonista. La signora sconvolta dalla vicenda pare non sapere come affrontare la cosa mentre i genitori degli altri ragazzi vogliono risolvere la cosa con un risarcimento in denaro. L'unico conforto della signora è un corso di poesia tramite il quale si mette in cerca dei segni di bellezza che la circondano. Quindi si mette in ricerca dell'ispirazione per poter finalmente scrivere una sua poesia. 



I genitori degli altri ragazzi coinvolti pensano di risolvere tutto con i soldi. Ma un risarcimento in denaro risolverebbe veramente qualcosa? Veramente finirebbe tutto il dolore che la vicenda ha causato? Probabilmente no... e la protagonista è l'unica a capirlo. 
Ciò che mi ha più colpito sono i silenzi. Molto più carichi di significato e di emozioni rispetto ai dialoghi. Il dolore è talmente forte che non si trovano le parole per esprimerlo, anzi, non c'è bisogno delle parole per esprimerlo. E infatti nonna e nipote non parlano mai esplicitamente di ciò che è successo. Non c'è bisogno di urlare, fare confusione; non c'è bisogno di inutili drammatizzazioni.


Questo concetto, molto orientale, forse è estraneo alla società occidentale che ha bisogno di parole, immagini veloci ed esplicite per capire. Quindi mentre sullo schermo scorrevano immagini di paesaggi bucolici, piccole case orientali e strade trafficate in cui si trovava la buffa protagonista adornata di cappellino in stile un po' "british", alcune persone uscivano dal cinema perché troppo annoiate.

3 commenti:

  1. purtroppo noi occidentali non siamo più capaci di apprezzare certi ritmi e certi stili. parlo in generale, perchè so bene che il discorso non vale per tutti. ho visto certi film orientali in cui la lentezza e il silenzio erano elementi fondamentali, ma sono convinta che la maggioranza delle persone si sarebbe solo annoiata. inutile dire che sono convinta che siamo noi a perderci qualcosa. questo film lo volevo vedere, ma mi è scappato, però spero di recuperarlo in futuro.

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  2. Concordo pienamente! :)
    Mai generalizzare però è un dato di fatto che la lentezza e il silenzio non fanno parte della cultura occidentale, ammesso che si possa parlare di cultura occidentale...!
    L'importante è fare sempre un piccolo sforzo per capire anche le cose che ci sembrano lontane dal nostro essere. Di sicuro questo passaggio per noi è più facile visto che siamo interessati all'oriente e alle sue tradizioni.
    Per altre cose sarei più in difficoltà!

    Comunque quando recuperi questo film mi fai sapere cosa ne pensi!

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    1. certamente! e intanto vedrò di non farmi scappare A simple life, visto che ho sentito parlare bene pure di quello.

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